La quattordicesima domenica del tempo ordinario è un film del 2023 di Pupi Avati con Camilla Ciraolo, Lodo Guenzi, Nick Russo, Edwige Fenech, Gabriele Lavia, Cesare Bocci, Massimo Lopez. Durata: 98 min. Distribuzione: Vision Distribution. Nel suo ultimo film, Pupi Avati parla della quattordicesima domenica del tempo ordinario, più precisamente del 24 giugno del 1964, il giorno in cui si è sposato. Già da questo si può dedurre che il film sia, in un certo modo, autobiografico. Il tempo ordinario, nella liturgia cattolica, corrisponde alla stagione primavera-estate, in cui si celebrano matrimoni.
TRAMA
Bologna. Marzio incontra Samuele, il suo ex compagno di gruppo nei Leggenda degli anni ’70, con cui ha prodotto solamente una canzone di discreto successo. Da ragazzi hanno sognato di sfondare nel mondo della musica, ma il loro rapporto che si è logorato a causa di Sandra. Marzio l’ha sposata una domenica di Giugno del 1964. Sono passati 35 anni dalla quattordicesima domenica del tempo ordinario, in cui Marzio e Sandra hanno celebrato il loro matrimonio. Adesso tutti e tre si trovano di fronte ad una svolta nella loro vita. Nonostante il loro passato, Marzio, Samuele e Sandra devono quindi affrontare delle nuove sfide facendo i conti col passato.
RECENSIONE
Dopo Lei mi parla ancora del 2021, Avati si fa sorprendere nuovamente in sospetto peccato di sentimentalismo, ma da allora forse qualcosa è cambiato, perché stavolta il regista bolognese riesce a far vibrare una visione della vita più tenera, pittoresca e sincera, ma non perciò meno amara. La quattordicesima domenica del tempo ordinario richiama tematiche già affrontate in film precedenti e ruota attorno all’argomento del matrimonio, trattato in Sposi del 1988, dove un presentatore televisivo in declino (Jerry Calà) andava alla ricerca di un matrimonio che facesse scalpore sui rotocalchi, e in Storia di ragazzi e di ragazze (1989), dove due giovani di diversa estrazione sociale sono alle prese con l’organizzazione di un pranzo per far conoscere le due famiglie prima del matrimonio. Avati torna quindi a confrontarsi col suo cinema lirico, emotivo, a tratti struggente, di nuovo lontano da Il Signor Diavolo (2019) e dal suo cinema gotico ispirato ai classici come Suspense di Jack Clayton o Gli invasati di Robert Wise. Il regista allunga il registro delle commedie e crea una cronaca minimalista della Bologna degli anni ’60, intessuta di canzoni d’epoca come Radio Days di Allen. L’ennesimo omaggio al mondo del passato, che Avati ha voluto spezzare con la lancia del presente. Camilla Ciraolo, nella sua interpretazione convincente di Sandra Rubin da giovane, la ragazzina desiderata da tutti, si trasforma ai giorni nostri in Edwige Fenech, una donna sola e bistrattata. Lodo Guenzi, il giovane Marzio Barreca, si trasforma invece nel cupo e bisbetico Gabriele Lavia, nella rappresentazione dantesca di una rincorsa che dura anni, in stile Dante e Beatrice, che ne impiegarono nove prima di incontrarsi per la seconda volta. Tanta la tenerezza miscelata però con il sentimento della gelosia possessiva incurabile che rischia di mandare in corto circuito la parte finale del film, quando l’ormai anziano Marzio Barreca mostra la sua collera nell’ennesimo slancio di gelosia, più ingiustificato che mai.
Utilizzando ancora una volta la Divina Commedia, da cui Pupi Avati ha tratto ispirazione per Dante (2022), possiamo invece accostare Sandra Rubin a una sorta di Beatrice negativa che guida il giovane Marzio nei meandri dell’inferno. Sono infatti questi i momenti più riusciti del film, che si materializzano nello sguardo feroce di Camilla Ciraolo quando scaglia a terra un piatto in collera per aver perso il lavoro a causa della malattia e nella ridondanza di quella canzone triste, cantata all’infinito da Lodo Guenzi, scritta dal regista e musicata da Sergio Cammariere. Ne esce insomma un film dalla coperta corta, una sintesi del cinema di Avati, in cui, seppur a passo stanco, emerge la capacità di condensare elementi che, se ulteriormente sviluppati, avrebbero potuto dar vita ad una fiction per la tv, come fu per Un matrimonio del 2013, in cui veniva raccontata la storia dalla vita dei genitori del regista. Tuttavia, nonostante i gli alti e bassi, La quattordicesima domenica del tempo ordinario risulta un film affaticato ma lucido e il suo fascino si conserva nel fatto che ogni spettatore può tradurlo simultaneamente in volti, lessici e ricordi personali, condividendo infine con il regista un sentimento di serena malinconia.